Domenica 16 febbraio si terrà una conferenza sul lavoro dignitoso e sul caporalato (leggi qui), piaga che Ceglie ha subìto come fenomeno economico-sociale macchiato di ingiustizia e lutti. Nel maggio del 1980 la morte di tre giovani donne suscitò indignazione e clamore, che però non ebbero quella efficace solidità capace di contrastare gli abusi che ancora oggi vivono soprattutto le lavoratrici. Un articolo dell’avvocato Augusto Conte, scrittore e saggista, sugli errori commessi e sui colpevoli silenzi, un’analisi accompagnata da una riflessione e una proposta
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di Augusto Conte
Il fenomeno del “caporalato” non è solo di natura sociale, implicando la legislazione e la legalità, di solito riservata ai politici (che dovrebbero elaborare leggi adeguate per il rapporto di lavoro, soprattutto per potenziare l’agricoltura evitando l’abbandono delle terre), ai Carabinieri, che accertano i reati, ai giudici, che condannano, ai sindacalisti che dovrebbero rappresentare le categorie meno privilegiate.
La legalità non è appannaggio delle suddette categorie, spetta alla avvocatura essendo la difesa coronamento della legalità e non ostacolo alla sua attuazione, come comunemente si ritiene.
Venendo al tema io mi sono occupato del caporalato dall’”interno”, come Vice Pretore reggente della Pretura di Ceglie Messapica, pronunciando sentenze che hanno creato giurisprudenza in materia, commentate nelle Riviste Giuridiche, e come Avvocato, avendo partecipato a diversi processi e in particolare nella difesa delle parti civili nel sinistro stradale nel quale trovarono la morte tre giovani donne cegliesi.
Dopo le “passerelle” di politici e sindacalisti, fummo abbandonati da tutti: la stampa non ci dette visibilità, il sindacato non partecipò e l’insipienza del Tribunale non ci consentì di avere un risarcimento, anzi, indispettito per le valide difese, reagì rigettando le istanze istruttorie e di merito. Nel tentativo di coinvolgere un pullman in sosta irregolare sulla strada, regolarmente assicurato, contro il quale andò ad impattare il pulmino, non assicurato, che trasportava le giovani, il Presidente testualmente disse: “Io posso lasciare la macchina in mezzo alla strada e andarmene a funghi”.
Una TV di stato che mi chiese di concedere una intervista si dileguò, “venendo dirottata” probabilmente per non incorrere in “fastidi”.
A mio parere l’abbandono di tutti fu “giustificato” dal fatto che l’economia sommersa fornita dal caporalato faceva comodo a tutti.
La recente normativa, aggravando le pene, non serve a niente.
Bisogna rivedere la normativa laddove richiede 51 giornate per il lavoro a tempo determinato, che è usuale in agricoltura, che consente di raggiungerle prestando lavoro a nero una volta conseguite le 51 giornate.
Il contratto di “somministrazione” non fa che legalizzare il fenomeno del caporalato, che non si combatte con gli slogan sui quali vengono costruite le “carriere”. Qualche anno addietro è stato chiesto, per lavarsi le coscienze, di erigere un monumento, per riproporre passerelle.
Ovviamente si tace degli Avvocati “scomodi”.